La tradizione vinicola
La vocazione vinicola vignanellese è di antichissima origine, essa risale al periodo falisco. Uno stamnos a figure rosse in cui Dioniso rivela a suo figlio Oinopion il segreto per la produzione del vino, è stato ritrovato durante gli scavi della necropoli del Molesino ed è tutt'ora conservato nel museo capitolino di Villa Giulia. Mentre ad Ortensia Farnese, che governò il paese nel XVI secolo, si deve la commercializzazione del vino di Vignanello verso le tavole dell'aristocrazia ecclesiastica e nelle osterie romane.
Il poeta Giuseppe Gioacchino Belli, nel sonetto Er vino è ssempre vino del 1831 scrive: "è bbono asciutto, dorce, tonnarello, solo o ccor pane in zuppa, e, ssi è sincero, te se confà a lo stommico e ar ciarvello. E’ bbono bbianco, è bbono rosso e nnero; de Ggenzano, d’Orvieti e Vviggnanello: ma l’este-este è un paradiso vero!"
Hans Barth, un poeta tedesco che ha soggiornato a lungo a Roma, autore di un libro dal titolo "Osteria. Guida spirituale delle osterie italiane da Verona a Capri", pubblicato a Roma nel 1909, con prefazione di Gabriele D'Annunzio, scrive: “Zampilla nella provincia di Roma, nella foresta del Cimino, fra Viterbo e Gallese, un vinello che non ti posso descrivere! Un vinello che brilla come il dono della Gallia, scivola come un nettare[...] mi sembrava che io ne fossi preso e che lo spirito del Dio mi scorresse dentro sollevandomi ogni più minuscola vena. Questo vino è il divino Vignanello. Già lo ha vantato Gioacchino Belli, ma solo là, ove nasce, sprigiona tutto il suo fascino. Vuol essere assaggiato soltanto nelle cantine private, nelle antiche tombe etrusche; lì soltanto spumeggia, come lo champagne, imperla il bicchiere e diffonde in tutto il tuo essere una beatitudine tranquilla, voluttuosa”.
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